Visite

domenica 22 gennaio 2012

Rincorrere il vento…


Il tempo...


Ogni giorno sembra uguale al precedente eppure tanti eventi ne segnano l'unicità ma noi non siamo pronti per coglierli a causa della voracità e del tram tram quotidiano, corriamo facciamo tutto di fretta "rincorriamo il vento" eppure appresso a cosa corriamo? Che vogliamo acchiappare? E se non vogliamo correre cosa ci travolge e ci spinge a lasciarci trascinare da questo vortice? Mi viene pure da chiedermi tutto questo che frutti porta? Tutto questo ci fa sentire felici realizzati?Guardando la nostra società industrializzata piena di ogni bene materiale fino all'esasperazione, dove il comprare è sempre più comodo ed "indolore", basta un  click e compri quello che vuoi, dove la nostra felicità (cosi almeno ci fanno credere) è data oggi da un cellulare, da un auto, da un tipo merenda piuttosto che un altra, dal non sentirsi gonfie grazie a yogurt miracolosi, yogurt come farmaci omeopatici pieni di pro e nessun contro, insomma sembra che tutte le aziende di vario genere siano le figlie di madre Teresa di Calcutta, dietro le nostre porte pronte a sovvenire ad ogni nostro bisogno per renderci "felici", eppure la stessa sorte non sembra toccare alle nostre vite. Confrontando le nostre società con quelle meno industrializzate si coglie (togliendo il discorso del “benessere”) come alcuni fattori quali l’uso delle droghe, dell'alcool, i suicidi, depressione e via discorrendo crescano in modo esponenziale con il benessere economico, tendenze proporzionalmente inverse sono presenti nei paesi sottosviluppati, a questo punto viene da chiedersi come fanno queste persone (da noi considerate sfortunate) senza “niente” ad essere felici? Allora la felicità non dipende da quello che abbiamo ma da quello che siamo, altresì cos’è la felicità o meglio il concetto che  ne abbiamo sviluppato oggi? Prima di continuare a leggere il resto fermatevi e pensate rispondendovi sui quesiti sopracitati, in modo da valutare alla fine della lettera le vostre opinioni con le mie.

Io queste domande me le sono poste facendo tesoro del mio vissuto, delle persone che mi hanno circondato e mi circondano e di molte altre più esperte di me, frullando il tutto mi sono cercato di dare delle risposte,ovviamente sempre opinabili, non dogmi di fede. Sin da piccolo notavo come oggi giorno quasi a nessuno manca il superfluo, auto, radio, soldi per comprare sigarette, cassette,oggi il più “povero” tra di noi ha 2 o 3 telefonini cosi quando a scuola ci volevano sensibilizzare su quelli del III mondo avevo difficoltà a capire cosa fosse la fame e quella nuova forma di povertà che ci veniva illustrata chiedendomi: molti poveri della nostra comunità il pane ed il vestiario lo hanno in abbondanza, sono poveri poiché non possono avere 3 macchine, le scarpe firmate etc e mi continuavo a chiedere perché loro non hanno da mangiare se da noi la persona più povera il cibo lo butta o lo da agli animali? E che risposta si può dare un  ragazzo a 8 anni, nessuna. Poi da grande da ogni parte ci è stato insegnato a dare il superfluo e lasciare ognuno nella propria sorte appoggiando con il silenzio assenso, ragionando sotto un ottica prettamente economica, chi come le “big pharma” ad oggi fa morire molte persone in questi paesi non fornendo molti vaccini non perché abbiano un gran prezzo dovute alle materie prime, ma perché per loro disgrazia non hanno i soldi per pagare il brevetto alla case farmaceutiche. Fin qui possono apparirci come persone da commiserare per la loro triste sorte, ma se cambiamo la nostra visuale e li guardiamo dal punto di vista umano, (sotto un'altra ottica con gli occhi di chi come madre Teresa è stata in mezzo a loro e diceva: “basta un piatto di riso per dare ad un bambino una gioia enorme, mentre quando veniva in Europa e guardava i nostri giovani diceva che erano delle persone vuote e nessuna delle ricchezze che inseguivano e cumulavano avrebbe dato la felicità di uno di quei bimbi) così vedremo persone povere  ma felici, aggregate tra loro, persone a cui basta poco per dare un sorriso, bambini che giocano e fanno festa anche con un niente, persone che colgono l’essenzialità della vita e la vivono in pieno essendo soggetti attivi della loro vita e non semplici spettatori passivi che guardano scivolarla dalle loro mani; guardandola sotto quest’ottica io personalmente ho seri dubbi su chi siano i poveri e sfortunati. Ritornando un po' indietro negli anni, sin da adolescente osservavo tanti miei coetanei con molti beni, a quali non mancava nulla, eppure vuoti, tristi, in ricerca di trasgressioni varie per dare un senso alla loro vita misurandosi con gli altri e sfidando anche la morte, eppure mi chiedevo (come molti quando succede qualcosa ad un nostro conoscente) cosa gli manca? Spesso si danno risposte molto scontate e sintetiche commiserando o prendendo per disgraziato il mal capitato, ma mai ci soffermiamo a pensare, come Terenzio diceva: “ Homo sum, humani nihil a me alienum puto ” ovvero siamo uomini è tutto ciò che succede non ci è estraneo,ciò che ora commiseriamo nell’altro potrebbe capitarci anche a noi, se piuttosto che giudicare non ci facciamo un auto critica, in primis della nostra persona e successivamente dell'ambiente in cui viviamo, non guardando tutto ciò con la nostra limitata visuale ed le nostre limitate esperienze, credendoci come diceva Gorgia “la misura di ogni cosa”,ma guardando pure con gli occhi dell' altro, che anche se sfortunato ha molto da insegnarci ci aiuterà ad aprire i nostri orizzonti non arricciandoci nelle nostre convinzioni, che probabilmente ci porteranno allo stesso risultato di quello che commiseriamo. Se metteremo sempre in discussione il nostro pensiero guardando la storia dell'uomo come maestra, dove si evince che nulla è cambiato i problemi che c'erano allora ci sono anche oggi cambiano solo gli scenari ed i mezzi, allora agiremo da persone libere che cresceranno intellettualmente, ma come può crescere e capire gli altri chi si crede fortunato e nel giusto? L'unico suo obbiettivo sarà il giudicare tutti e come diceva De Andrè il “dare buoni consigli sentendosi come Gesù nel tempio”. Mentre scrivo penso che il mio discorso potrebbe essere uguale a quello di qualche favola dove prima arriva l’orco che incute paure ed alla fine spunta l’eroe, alla predica di qualche prete, o di un moralista ma non lo è e non lo vuole essere a nessun titolo, poichè è solo un ragionamento ad alta voce dove espongono i miei dubbi e le mie risposte. Un giorno mentre guardavo la tv in una trasmissione una ragazza di 12 anni che vendeva proprie  foto osè in cambio di una ricarica oppure si dava nei bagni della scuola in cambio di un telefonino, intervistata con il senno di poi diceva: “...allora ero spinta a farlo ma non capivo perché ora capisco che quello che mi spingeva alla trasgressione, era la mancanza di affetto dei miei genitori, mi davano tutto ma non la loro presenza ed il loro affetto”. Su questa testimonianza ho riflettuto molto, oggi giorno molti genitori lamentano l'irrequietezza dei loro figli dicendo “ai nostri tempi non eravamo così” ( ma non è cambiato nulla nel corso dei secoli, non bisogno guardare solo i figli, se si guardano i genitori penso che a suo tempo abbiano avuto le stesse critiche e cosi andando a ritroso si vede come non sia cambiato nulla) piuttosto che giudicare i figli i giovani perchè non si ci sforza di capirli e stare al loro fianco? Non è più facile riempirli di soldi, beni di consumo e poi lasciarli in balia di se stessi? E non è più comodo poi dirsi ma che è successo non gli ho fatto mancare niente, sono fuori per lavoro tutto il giorno per dargli un avvenire... Non sarebbe più proficuo dare l'unica cosa che i figli hanno di bisogno ovvero il proprio appoggio e la propria presenza discreta? In media stat virtus, dicevano i nostri avi,  e si, perchè spesso si eccede pure all'inverso, i figli si rendono succubi a causa della mancata maturità dei genitori di svezzarli, evitandogli pure la crescita e si ritrovano a 40anni ancora bamboccioni. Ecco perchè credo che quando si vede un fatto come quello sopracitato non si devono stracciare le vesti e fare paragoni inutili e dare giudizi, ma fermasi e dire: cosa abbiamo fatto, perchè avviene ciò, non dare subito la colpa agli altri poiché la prima colpa è quella nostra di non saper capire noi stessi e chi ci sta intorno. Oggi l'esempio che danno molti genitori (quindi in linea di massima da chi possiamo imparare?)e la nostra società è l'avere un unico obbiettivo: correre, fare denaro, costruirsi un proprio “benessere” a qualsiasi costo, sacrificando se se stessi e chi gli sta intorno. Se per un attimo ci fermiamo e guarderemo quante cose lungo l’arco della giornata sacrifichiamo l’affetto di chi ci è vicino, il costruire noi stessi e la nostra persona dedicandoci un po' di tempo ed avere le nostre giuste soddisfazioni personali, ma ciò invece viene sacrificato in nome di un “non ho tempo devo fare tante cose”, quando lo sento dire a molte persone mi verrebbe da dirgli: Ma chi sei il nuovo Atlante che porti il mondo sulle spalle? Tutto dipende da te se ti fermi tu finisce il mondo…. e prima che tu fossi e quando più non sarai che succederà? Si fermerà tutto!!! O non è più vero che morto un papa se ne fa un altro? Anche quando un capofamiglia viene a mancare i restanti si danno vita e si riorganizzano quindi dov’è questa essenzialità? Non è solo il paravento dell’ignoranza? Del non capire neanche che stiamo a fare in questo mondo? E il non avere tempo non può essere solo una scusa (anche inconscia) per nascondere la nostra infelicità interiore che grida e solo aumentando la corsa quotidiana cerchiamo di non prenderne coscienza? Essendo arrivato il momento di ragionare ed invertire rotta e dedicare tempo a noi stessi e a chi ci sta vicino? Molte coppie si dividono poiché sono tali solo sulla carta, ma i rapporti umani si costruiscono giorno dopo giorno non vanno avanti per forza di inerzia o per virtù dello spirito santo, se sempre impegnati a lavoro a farvi una posizione sociale, a fare carte etc? Piuttosto che poi dare la colpa all'altro perchè non si fa una propria critica? Perchè non si capisce che l'unica cosa di cui siamo veramente padroni è il nostro tempo, tutto il resto va e viene non dipende da noi, l'unica cosa di cui disponiamo è il nostro tempo e la sua gestione. La mitologia greca aveva designato in kronos (il dio del tempo colui che divorava i suoi figli, metafora di come il tempo divora i suoi figli) oggi giorno le cose sembrano invertite siamo noi a divorarci distruggendo il nostro tempo, considerandolo non importante ed infinito. Una massima dice: Pensa come se fossi eterno ma vivi come se fosse l’ultimo giorno, il carpe diem al quale ci invitava Catullo, il nostro tempo è oggi, ne domani ne ieri ma oggi! Se oggi non riusciamo a cogliere la bellezza di un tramonto, l’affetto di chi ci circonda, non riusciamo a darlo a chi c'è lo chiede cosa avremo fatto del nostro tempo e della nostra vita? Non sarà stata un fallimento? Non saremo pieni di ogni bene ma poveri dentro ed infelici? Sin dai primi giorni il neonato non chiede ai nostri genitori il loro affetto e la loro presenza ed il loro tempo?Oggi la nostra società ci chiede di venderlo, dagli impiegati statali, agli operai, agli “artisti” non si lavora ad ore? Il tutto non si misura con il tempo?A chi  importa della prestazione o della bellezza del nostro lavoro si deve guardare il tempo, si deve produrre un tot, in un arco di tempo il tutto deve rientrare nel concetto di utilità marginaria ovvero il minimo per ... altrimenti sei fuori, che importa se nell’oggetto che esce dalle tue mani non ti ci ritrovi non è frutto della tua creatività, noi dobbiamo essere solo dei robot che producono e vendono l’unico bene: il proprio tempo! Non è forse il concetto del lavoro come  alienazione di cui ne parlava Marx? Il lavoro non deve più soddisfare l’artigiano, non deve essere creatività ed ingegno, il lavoratore deve essere solo una macchina che produce e fa girare l’economia, la propria realizzazione personale ed emotiva non deve esistere si deve annientare, ecco l’aumento dell’uso dell’alcool delle droghe etc, la voglia di trasgressione non sono forse dei palliativi per “coprire” e sopportare i ritmi ed il disagio in una società disumanizzante che ci spersonalizza pure il lavoro e ci mette al pari di macchine senza emozioni? La nostra intelligenza emotiva a che serve?
A supporto di questa mai tesi voglio ricordare le riflessioni di una tanatologa a contatto per lavoro con malati terminali, dopo una vita trascorsa a correre per essere uguali agli altri in questa fase della vita si sono accorti che quello che hanno inseguito è svanito come una bolla di sapone, hanno toccato con mano la vanità del nostro “benessere”, hanno capito che hanno sacrificato la loro vita (ed il loro tempo) in nome del denaro ma hanno tralasciato la bellezza di ogni giorno con l’affetto dei loro cari, la bellezza del sorgere del sole e del suo tramonto, il lento e felice trascorre del giorno con i ritmi naturali, l’importanza del sorriso dei loro figli, insomma hanno tralasciato la loro vita in nome di un rincorre qualcosa di indefinito, credendo che tutto era dovuto la salute, il tempo gli affetti etc, tutte cose che fino ad allora gli sembravano scontate mentre giunti in quella fase della vita gustano fino in fondo ogni singolo giorno lasciando tutto il superfluo. Se pensiamo a noi che spesso diciamo che non sappiamo cosa fare per “far passare il tempo”, avendo paura di guardarci e che il silenzio possa far vedere la nostra povertà interiore,  piuttosto che correggerci pensando più a noi valorizzandoci, preferiamo prostituirci a tutto quello che può coprire la nostra pochezza,cosi riempiamo le nostre giornate d'impegni, lavori  o altro che possa farci correre e non pensare che corriamo verso un burrone, se ci mettiamo a ragionare dal loro punto di vista (non giudicando dicendo: è vero, è bello poverini etc e domani abbiamo dimenticato tutto, ma facendo un resoconto della nostra esistenza) mettendoci nei loro panni e pensiamo che per loro sarebbe buono il contrario, ovvero che il tempo non passi mai, sperano che gli ultimi giorni a loro disposizione non finiscano mai e se li godono fino in fondo. E io mi chiedo perché dobbiamo arrivare agli estremi per capire ciò? La storia di altre persone non può evitarci tutto questo piuttosto che battersi il petto alla fine? Credo che la motivazione sia sempre la stessa, il non ragionare, sappiamo solo correre! Sono cosciente che il mio da molti verrà preso come un discorso da folle (infatti  non si dice che chi è felice è pazzo) poiché non si può mettere in atto, bello a dirsi che magari piacerà a molti, ma resteranno solo belle parole, anche perché se lo dovremmo fare fermeremo l’economia, e che non sia mai, meglio la morte che essere diversi dagli altri! E' vero, non diciamo tutti che la salute viene prima di tutto? E guai a chi osa contrariare questa affermazione, ma forse anzi sicuramente solo a parole, poiché il primo punto a nostro sfavore è il non dedicarsi tempo, poi pensate a quante volte vi si è rotta l'auto, o un qualcosa di materiale a voi utile e come siamo pronti a fare salti mortali affinchè al più presto ritorni efficiente, eppure se avete un problema di salute si dice : “e va be domani vediamo, tra un settimana, si può aspettare, non appena ho tempo etc”, quindi la teoria discosta molto dalla pratica, ovvero i nostri beni sono più importanti della salute, ed essa deve essere al servizio dell'economia, eppure S. Agostino non diceva: “i soldi sono un ottimo servo ed un cattivo padrone”?  Se lo diceva lui  1700 anni fa non c’erano allora gli stessi problemi di oggi? Catullo rammentava il carpe diem dunque che cosa cambia nelle varie epoche? Nulla! Poiché se queste persone sono riuscite ad ragionare e mettere ordine nella loro vita hanno usato a vario modo il loro intelletto, non sono state delle pecore che hanno seguito la massa e le varie mode, ma usando la loro razionalità  hanno dato delle chiavi di lettura sempre attuali ai dilemmi eterni dell' uomo. Quindi anche se ripetitivo mi dico: non sarebbe pure bene per noi investire su noi stessi allargando le nostre vedute e mettendo dei paletti che regoleranno la nostra esistenza? O scegliere la via più breve del seguire le masse e finire con il drogarci, bere, ammazzarci di lavoro per sopportare i ritmi disumani delle nostre società capitalistiche piuttosto che fermarci e godere la nostra vita? Seneca diceva che non è poco il tempo che abbiamo a nostra disposizione ma siamo noi che non lo sappiamo spendere, passano i giorni gli anni ci troveremo(se siamo fortunati) ad una vetusta età e ci chiederemo che abbiamo fatto della nostra vita? E' passata veloce diremo, ma io ribadisco non è passata veloce siamo noi che non l’abbiamo saputo vivere! Cosi se non riusciamo nel piccolo a gestire giorni, settimane e mesi, ancor più ci sfuggirà la vita e non avremo una seconda possibilità per riprovare. Un altro punto, attinente su cui voglio soffermarmi è la felicità, cos'è la felicità? Ve lo siete mai chiesto? Penso di si, ma da cosa dipende la vostra felicità? Dall’avere una bella auto, l'ultimo telefonino, dall'esser alla moda, dall’ aver abiti firmati, il sognare una super car magari vincendo alla lotteria allora si che saremmo felici no? Tutti ci invidierebbero, non per quello che siamo ma per i nostri beni. Oppure per molti adolescenti il divenire famosi direste? E se prendiamo in considerazione le star non eccedono nell’uso delle droghe alcool spesso fino alla morte (come l'ultima vittima del successo la giovane e famosa Amy Winehouse ), perchè quando si arriva in cima non si è felici come si credeva e si cercano stravaganze varie? Il celeberrimo Freddie Mercury nella sua famosa canzone “Living on my own” (vivendo la mia solitudine) non manifestava forse uno stato d’animo comune a molte star? Come può essere sola una star a livello mondiale con migliaia di fans pronti a fargli da tappeto? Eppure in una sua intervista rammaricato diceva: “Mi sento solo, mi sento amato per quello che rappresento non per quello che sono e ciò mi provoca un immensa tristezza e solitudine”!!! Ecco quello che ci viene millantato non regge effettivamente, per essere grandi bisogna prima investire su se stessi, se la persona non investe su se stessa rafforzandosi come potrà reggere un peso così grande? Non verrà schiacciata dalla sua stessa sorte? Non si deve pensare che la felicità arrivi da fuori dal consenso degli altri o dai beni in proprio possesso, la felicità è in noi stessi solo costruendo la nostra persona avremo fatto il  primo passo per la felicità, e poi da solo o in compagnia nessuno potrà rubarci quello che siamo. Ma non voglio fermarmi voglio andare ancora più a fondo nelle nostre storie quotidiane cos’è la felicità mi sono chiesto ancora? Ed in ciò mi è venuto in aiuto l’esperienza scritta di un terapeuta che esaminando sui molti pazienti si rendeva conto in primis facendosi un autoanalisi come i suoi pazienti bombardati dai mass media, dalla gente che si incontra puntava la loro felicità su degli oggetti o degli obbiettivi ma non avendo per nulla chiaro su il che cosa sia la felicità. Ovvero la felicità di uno studente corrispondeva al completamento della sua carriera universitaria e poi finita la laurea ed i giorni di felicità tutto svaniva ed ecco a cercare altro, per un giudice il quale aveva ricercato la felicità nel raggiungere un prestigio, partendo da semplice avvocato raggiungendo una posizione sociale, di volta in volta vedeva la felicità che gli sfuggiva di mano ed ecco dopo un po’ arrivare la solitudine, depressione abuso di alcoli etc, fino a riconoscere il proprio fallimento umano, per un uomo delle forze armate era stato il continuo avanzamento di grado fino ad raggiungere un invidiabile posizione, eppure alla fine si sentiva profondamente infelice e quindi vi richiedo cos’è la felicità? Potreste dire non esiste, e sarebbe parzialmente vero, guardando dal punto di vista della nostra società, ma come dicevo sopra se guardiamo ai paesi sottosviluppati penso che abbiamo molto da imparare, noi possiamo dargli solo un po’ di “benessere” ma per il resto abbiamo tutto da imparare riscoprendo il senso della vita. Ritornando a noi vi siete dati una risposta esaustiva? Questo dottore concludeva (ed io confermo in toto) che molti dei suoi pazienti guarivano nel momento in cui prendevano coscienza che dovevano cambiare rotta, ovvero facendogli capire che LA FELICITÀ NON È LA METÀ MA LA VIA, la felicità è il modo in cui noi ci porgiamo davanti ogni cosa, è il modo in cui viviamo le nostre singole giornate non gli obbiettivi che ci poniamo, le giornate vanno vissute, vanno vissuti i nostri affetti finchè abbiamo la fortuna di averli accanto, la felicità è l’essere noi padroni del nostro tempo,se non godremo dei singoli momenti e rimanderemo la nostra felicità al domani o ad un oggetto non saremo mai felici e quando sarà ormai tardi capiremo(come i casi di sopra) che la nostra vita sarà stata un fallimento. Niente di ciò che è esterno da noi potrà darci la felicità,la felicità sta dentro di noi, se continueremo a cercarla fuori perderemo tempo e non concluderemo nulla di positivo, ecco che molte persone povere sono felici anche senza il nostro “benessere”,
la felicità sta nel godere di ogni singolo giorno, non nel svegliarsi la mattina già incazzati pensando ai mille impegni che ci aspettano, e quanto li avremo risolti ne verranno altri mille e se non ci saranno li andremo a cercare per coprire la nostra infelicità che comincia a farsi sentire finchè un giorno ci ritroveremo con il culo per terra e tutte quelle persone “invidiabili” le troveremo profondamente insoddisfatte, depresse, a cercar un po’ di felicità nelle droghe, nel vino, nelle auto lussuose nel lavoro che riempie le giornate e mette a “tacere” i nostri problemi diventando una vera e propria dipendenza fenomeno che dilaga sempre più con il nome di working addiction), tutto ciò diventa in un continuo arrampicarsi sugli specchi per non affrontare i problemi che presto o tardi presenteranno il conto. Penso che se non si cambia modo di ragionare, anzi se non si inizia a ragionare se non si cambia modo di vedere le cose avremo solo rincorso il vento. Come un turno di notte o bestemmi o sei tranquillo passa comunque sta a noi decidere come passarlo, ecco che la felicita non sta nel non farlo o avere il turno di giorno sta nel prendere la vita con filosofia ma per far ciò ci si deve fermare e ragionare guardare la vita anche sotto l’ottica della morte. Noi diamo per scontato che dovremo vivere ancora per molti anni ma non ci rendiamo conto che non siamo padroni nemmeno del domani, guardiamo la vita ed ogni singolo giorno come un grande dono come fanno i malati terminali e non come il vicino più fortunato di noi.
Questo è ciò che io penso, il mio pensiero attuale sulla felicità e sul tempo, spero possa servire di aiuto a chi lo leggerà, come mi saranno di aiuto i vostri commenti, essendo pienamente convinto che l’unico vero sforzo per cambiare le cose è il cambiare noi stessi, solo se cambieremo modo di vedere le cose riusciremo a cambiarle, finchè ci sentiremo perfetti e pronti ad insegnare agli altri resteremo nell’ignoranza più assoluta, infatti di rado intervengo nelle discussioni verbali poiché mentre molti vedo che hanno tanto da dire, credendo di avere la verità assoluta nelle mani e chi sta di fronte abbia solo da imparare da loro, a me piace ascoltare e capire piuttosto che fare da maestro agli altri essere maestro di me stesso, concordando pienamente con quanto diceva F. Nietzsche:
“ Chi sa fare fa, chi non sa fare insegna”.
virnoctis@tiscali.it

Nessun commento:

Posta un commento